
Per capire cosa sta succedendo con questa benedetta intelligenza artificiale serve qualcosa di nuovo.
Serve esattamente una cosa che non vedo negli ambienti di lavoro che frequento: il change management.
Il Change management (gestione del cambiamento) è un insieme strutturato di metodi, competenze e strumenti. Questi sono utilizzati per spostare persone, team e organizzazioni da uno stato attuale a uno stato futuro desiderato. L’obiettivo è ridurre al minimo la resistenza e massimizzare i risultati.
Piccoli episodi, grandi danni
In questo periodo picchio forte in laboratorio sulla creazione di percorsi formativi e contenuti incentrati sull’intelligenza artificiale. Lo faccio soprattutto ascoltando gli stakeholder: studenti, colleghi, potenziali clienti.
La riflessione che stai leggendo nasce da un piccolo episodio, ultimo di una serie di piccoli episodi. Un compagno di classe di mio figlio non riusciva a mandare una mail al mio indirizzo di posta con il file allegato di una ricerca che mio figlio doveva studiare. Ci ho pensato un attimo e mi sono detto: beh, chiamo la madre.
Quarantacinque anni, media cultura, probabilmente impiegata in azienda. Le ho detto: “Ciao G., mi invieresti tu con la tua mail alla mia mail il file della ricerca che A. non sta riuscendo a mandarmi?”. Risposta: “Eh ma io non so come si fa. Nel computer di A… non c’è la mia mail”.
Silenzio… e poi: “Ok, grazie lo stesso. Mando Davide a prendere il file con una chiavetta…”.
Dietro questo piccolo episodio si nascondono gli enormi danni dell’ignoranza digitale e della completa mancanza di conoscenza del change management.
Le persone e la paura di cambiare.
L’economia è fatta dalle persone e le persone ne sono ancora il motore principale, nonostante l’intelligenza artificiale. La comparsa dell’IA nella vita di tutti i giorni, tuttavia, ha cambiato profondamente le regole del gioco. Ora se un umano vuole restare centrale nello sviluppo della sua vita e del suo lavoro, deve sapere di tecnologia. Deve sapere di IA, deve sapere di cambiamento.
Altrimenti ne viene travolto.
Molte delle persone che mi circondano, invece, rimangono ancorate a schemi, modelli, abitudini, processi e modi che già conoscono. Per paura, per ignoranza, per mancanza di motivazione. Nelle aziende, nelle organizzazioni, negli enti pubblici e privati, vedo masse di persone che non cambiano. Che continuano a fare quello che fanno come lo facevano 3-5-10 anni fa. Questa cosa mi spaventa. Non hanno stimoli, spinta, anticorpi per resistere al virus della tecnologia che sta stravolgendo tutto.
Sono persone che, come G, magari sanno mandare una mail dal loro computer, in azienda, con un file allegato. Quando, però, cambi nella loro testa lo schema, vanno in crash.
“Eh, ma nel computer di mio figlio non c’è la mia mail…”. Ti rendi conto?
Sono le persone del: “eh, ma io non so. Io ho sempre fatto così”. Sono spaventato dalla quantità di persone con questa mentalità. Popolano uffici, fabbriche, scuole, negozi, vie, case, e palazzi di questo paese. Sono ovunque.
Change management: una cosa che manca davvero
Sono persone che non sanno fare change management. Ecco una cosa che ci manca, qui in Italia. Non sappiamo cambiare.
Si tratta di un grande buco nero. Un sacco di persone rischiano di essere risucchiate dentro. Sono quelle persone che non hanno i mezzi personali e culturali per evolvere. Non riescono a far evolvere il loro lavoro perché non sanno alcunché di change management.
Il change management è una materia da insegnare fin dalle scuole superiori. Questo darebbe modo ai nostri giovani di cominciare ad avere quelle competenze necessarie per affrontare i cambiamenti. È fondamentale sapere di change management per evolvere nel momento in cui si presenta la necessità di farlo.
Il punto di partenza
Secondo un’analisi di Harvard Business Review, circa il 70 % dei programmi di trasformazione tecnologica fallisce. La causa è una gestione inadeguata della componente umana. Questo dato è ancora più rilevante quando la trasformazione ruota attorno all’intelligenza artificiale.
Qui, l’adozione di nuovi flussi di lavoro e la fiducia nell’algoritmo contano quanto la qualità del modello. Per questo conoscere i principi del change management non è solo un “nice to have”. È la cassetta degli attrezzi che permette di mappare le resistenze. Aiuta anche a costruire sponsorship. Inoltre, permette di misurare l’adozione di tool AI sin dal day-one.
Un ottimo punto di partenza è il classico di John P. Kotter Leading Change. Questo libro spiega in otto passi come creare urgenza. Permette anche di coalizzare gli sponsor (cioè coloro che in un organizzazione… ci credono) e consolidare i risultati. Se sei solo, se vuoi semplicemente cambiare tu… i principi valgono eccome. Puoi trovarlo facilmente online, ad esempio su Amazon.
La palla ora passa a te
Se quello che ho scritto di ha colpito come un proiettile in mezzo alla fronte, ora sta a te. Cerca di essere lucido e stabilire i passi necessari per capire cos’è il change management, come impararlo e come interpretarlo. Per te e per il tuo lavoro è una competenza necessaria e non rimandabile.
Se, invece, sei a capo di un’organizzazione devi pensare immediatamente al cambiamento come materia da studiare. Lo devi fare prima di cominciare quella transizione tecnologica che ti ingolosisce così tanto perché moltiplicherà le tue opportunità di guadagno dividendo i tuoi costi a metà. Studia il cambiamento prima di pensare all’intelligenza artificiale da inserire qua e là per automatizzare i processi, diminuire i costi e aumentare i guadagni. Se non lo farai… il fallimento sarà assicurato.