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  • Change Management e intelligenza artificiale, connubio necessario

    Change Management e intelligenza artificiale, connubio necessario

    Per capire cosa sta succedendo con questa benedetta intelligenza artificiale serve qualcosa di nuovo.

    Serve esattamente una cosa che non vedo negli ambienti di lavoro che frequento: il change management.

    Il Change management (gestione del cambiamento) è un insieme strutturato di metodi, competenze e strumenti. Questi sono utilizzati per spostare persone, team e organizzazioni da uno stato attuale a uno stato futuro desiderato. L’obiettivo è ridurre al minimo la resistenza e massimizzare i risultati.

    Piccoli episodi, grandi danni

    In questo periodo picchio forte in laboratorio sulla creazione di percorsi formativi e contenuti incentrati sull’intelligenza artificiale. Lo faccio soprattutto ascoltando gli stakeholder: studenti, colleghi, potenziali clienti.

    La riflessione che stai leggendo nasce da un piccolo episodio, ultimo di una serie di piccoli episodi. Un compagno di classe di mio figlio non riusciva a mandare una mail al mio indirizzo di posta con il file allegato di una ricerca che mio figlio doveva studiare. Ci ho pensato un attimo e mi sono detto: beh, chiamo la madre.

    Quarantacinque anni, media cultura, probabilmente impiegata in azienda. Le ho detto: “Ciao G., mi invieresti tu con la tua mail alla mia mail il file della ricerca che A. non sta riuscendo a mandarmi?”. Risposta: “Eh ma io non so come si fa. Nel computer di A… non c’è la mia mail”.

    Silenzio… e poi: “Ok, grazie lo stesso. Mando Davide a prendere il file con una chiavetta…”.

    Dietro questo piccolo episodio si nascondono gli enormi danni dell’ignoranza digitale e della completa mancanza di conoscenza del change management.

    Le persone e la paura di cambiare.

    L’economia è fatta dalle persone e le persone ne sono ancora il motore principale, nonostante l’intelligenza artificiale. La comparsa dell’IA nella vita di tutti i giorni, tuttavia, ha cambiato profondamente le regole del gioco. Ora se un umano vuole restare centrale nello sviluppo della sua vita e del suo lavoro, deve sapere di tecnologia. Deve sapere di IA, deve sapere di cambiamento.

    Altrimenti ne viene travolto.

    Molte delle persone che mi circondano, invece, rimangono ancorate a schemi, modelli, abitudini, processi e modi che già conoscono. Per paura, per ignoranza, per mancanza di motivazione. Nelle aziende, nelle organizzazioni, negli enti pubblici e privati, vedo masse di persone che non cambiano. Che continuano a fare quello che fanno come lo facevano 3-5-10 anni fa. Questa cosa mi spaventa. Non hanno stimoli, spinta, anticorpi per resistere al virus della tecnologia che sta stravolgendo tutto.

    Sono persone che, come G, magari sanno mandare una mail dal loro computer, in azienda, con un file allegato. Quando, però, cambi nella loro testa lo schema, vanno in crash.

    “Eh, ma nel computer di mio figlio non c’è la mia mail…”. Ti rendi conto?

    Sono le persone del: “eh, ma io non so. Io ho sempre fatto così”. Sono spaventato dalla quantità di persone con questa mentalità. Popolano uffici, fabbriche, scuole, negozi, vie, case, e palazzi di questo paese. Sono ovunque.

    Change management: una cosa che manca davvero

    Sono persone che non sanno fare change management. Ecco una cosa che ci manca, qui in Italia. Non sappiamo cambiare.

    Si tratta di un grande buco nero. Un sacco di persone rischiano di essere risucchiate dentro. Sono quelle persone che non hanno i mezzi personali e culturali per evolvere. Non riescono a far evolvere il loro lavoro perché non sanno alcunché di change management.

    Il change management è una materia da insegnare fin dalle scuole superiori. Questo darebbe modo ai nostri giovani di cominciare ad avere quelle competenze necessarie per affrontare i cambiamenti. È fondamentale sapere di change management per evolvere nel momento in cui si presenta la necessità di farlo.

    Il punto di partenza

    Secondo un’analisi di Harvard Business Review, circa il 70 % dei programmi di trasformazione tecnologica fallisce. La causa è una gestione inadeguata della componente umana. Questo dato è ancora più rilevante quando la trasformazione ruota attorno all’intelligenza artificiale.

    Qui, l’adozione di nuovi flussi di lavoro e la fiducia nell’algoritmo contano quanto la qualità del modello. Per questo conoscere i principi del change management non è solo un “nice to have”. È la cassetta degli attrezzi che permette di mappare le resistenze. Aiuta anche a costruire sponsorship. Inoltre, permette di misurare l’adozione di tool AI sin dal day-one.

    Un ottimo punto di partenza è il classico di John P. Kotter Leading Change. Questo libro spiega in otto passi come creare urgenza. Permette anche di coalizzare gli sponsor (cioè coloro che in un organizzazione… ci credono) e consolidare i risultati. Se sei solo, se vuoi semplicemente cambiare tu… i principi valgono eccome. Puoi trovarlo facilmente online, ad esempio su Amazon.

    La palla ora passa a te

    Se quello che ho scritto di ha colpito come un proiettile in mezzo alla fronte, ora sta a te. Cerca di essere lucido e stabilire i passi necessari per capire cos’è il change management, come impararlo e come interpretarlo. Per te e per il tuo lavoro è una competenza necessaria e non rimandabile.

    Se, invece, sei a capo di un’organizzazione devi pensare immediatamente al cambiamento come materia da studiare. Lo devi fare prima di cominciare quella transizione tecnologica che ti ingolosisce così tanto perché moltiplicherà le tue opportunità di guadagno dividendo i tuoi costi a metà. Studia il cambiamento prima di pensare all’intelligenza artificiale da inserire qua e là per automatizzare i processi, diminuire i costi e aumentare i guadagni. Se non lo farai… il fallimento sarà assicurato.

  • Dal racconto all’innovazione: il mio laboratorio con l’intelligenza artificiale

    Dal racconto all’innovazione: il mio laboratorio con l’intelligenza artificiale

    Un viaggio quotidiano tra sperimentazione, formazione e sviluppo di applicazioni intelligenti per migliorare la vita e il lavoro delle persone.

    Il 2025 è stato l’anno della svolta. Dopo anni trascorsi nel mondo dell’informazione e della comunicazione, ho sentito che era arrivato il momento di cambiare.

    Non si è trattato solo di aggiornare competenze. Non è stato solo di cavalcare una moda. Ho scelto di lasciare alle spalle la definizione di giornalista. Volevo costruire un’identità nuova, più vicina al mio modo di intendere il futuro.

    Oggi vivo e lavoro in un laboratorio di intelligenza artificiale personale. È sia un’officina creativa, sia un centro di sperimentazione quotidiana.


    Qui collaboro ogni giorno con IA come ChatGPT, Claude e Gemini Advanced, Sora, Descript e molte altre. Non sono strumenti da utilizzare e dimenticare, ma veri partner di pensiero e di progetto. Con il loro supporto:

    • Creo percorsi didattici che aiutano le persone a comprendere e usare l’IA in modo concreto e accessibile.
    • Ripenso i servizi formativi, mettendo al centro la trasformazione e la crescita delle risorse umane. Prima ancora che l’automazione dei processi.
    • Produco contenuti multimediali — testi, video, audio, workshop — con un metodo che fonde intuizione umana e potenzialità tecnologica.

    La programmazione, il mio nuovo confine

    Non mi fermo qui. Nel laboratorio di intelligenza artificiale di Francesco Facchini, il sottoscritto, sto anche apprendendo la programmazione assistita dall’intelligenza artificiale. L’obiettivo è creare applicativi su misura. Questi strumenti aiutano enti, professionisti e aziende. Essi consentono di ottenere soluzioni personalizzate per il loro sviluppo e il loro miglioramento continuo.

    Questo lavoro quotidiano non è solo tecnico. È un cammino di riflessione su come rendere l’innovazione semplice, comprensibile, utile davvero.

    No automazione, si evoluzione

    Non propongo automazione fine a sé stessa. Propongo un’idea diversa di innovazione. È un’innovazione che parte dalle persone. Si tratta del potenziamento delle loro capacità e della possibilità di vivere e lavorare meglio.

    Il mio obiettivo è chiaro: diventare un punto di riferimento per chi vuole avvicinarsi all’intelligenza artificiale senza timore. Voglio essere un supporto per chi cerca qualcuno che spieghi concetti complessi con parole semplici. Aspiro ad aiutare chi vuole trasformare il cambiamento tecnologico in una opportunità concreta e accessibile.

    Il futuro che voglio abitare

    Ogni giorno, con pazienza e determinazione, costruisco ponti tra le idee e la pratica. Collego anche la tecnologia e la vita reale.
    In questo laboratorio, una riga di codice alla volta, si disegna il futuro. È il futuro che voglio abitare. È un futuro in cui l’intelligenza artificiale non sostituisce le persone. Invece, le aiuta a diventare la versione migliore di sé.

    Se ti interessa sapere come l’intelligenza artificiale può diventare uno strumento concreto per la crescita personale, seguimi nel mio percorso. Ti invito a scoprire il mio viaggio. Può anche favorire lo sviluppo professionale.

    Nel mio laboratorio, ogni giorno, nascono idee e soluzioni. Sono pensate per aiutare persone e organizzazioni. L’obiettivo è costruire un futuro più consapevole.
    Puoi trovarmi qui, pronto a raccontarti il cambiamento, un passo alla volta.

  • Giornalista, ti metto nello zaino dei ricordi

    Giornalista, ti metto nello zaino dei ricordi

    C’è una parola che sta sparendo.

    Adesso ti racconto quale, dove e perché. La parola che sta sparendo é #giornalista. Sta sparendo dal mio orizzonte, si sta dissolvendo nel mio lavoro, sta scomparendo dal mio futuro. Appartiene con grande affetto al mio passato.

    Sinceramente non credevo che questi mesi del 2025 mi riservassero un nuovo viaggio e una clamorosa evoluzione, ma è così. La parola giornalista sparisce progressivamente dai miei social, sparirá dal mio sito, dalle mie presentazioni.

    Ho deciso di farla sparire. Non sono un giornalista ormai da anni. Ostinarmi a tenere il respiratore attaccato a questa parola morente non aveva più senso.

    Trentatré anni con questa parola cucita sul cuore sono stati un bellissimo viaggio.

    Ma perché é sparita? Perché ne sono comparse molte altre nello scarabeo del mio lavoro. Ostinarsi a contenerle dentro la parola giornalista non avrebbe avuto più senso.

    Giornalista, parola svuotata di senso

    Oltretutto la definizione di giornalista non ha senso. Questo è evidente almeno a guardare le leggi che la regolano. Anche le istituzioni che la tengono in vita non hanno significato. Perfino le scuole che la definiscono non sono in grado di dare a questa parola motivi per esistere.

    Oggi il lavoro di chi comunica, informa, crea e forma, si definisce con tante altre parole. Per questo motivo ho preso la gomma e iniziato a cancellare la parola giornalista dalla mia vita professionale. Perché ce ne sono tante altre che meglio la definiscono.

    Ho incontrato migliaia di persone nel giornalismo e dico grazie a tutte. Spero di averne aiutate altrettante. É stato il mio mondo, ora non lo é più.

    Uno zaino di parole tutte nuove

    Media, content creation, innovazione, nuovi linguaggi, informazione, creatività, formazione, evoluzione, cambiamento, intelligenza artificiale.

    Ecco le parole che resteranno nel mio zaino. Ora lo sto preparando con tutte le cose nuove. Sono pronto per un altro viaggio.

    Se vuoi fare la strada con me sei il benvenuto, sei la benvenuta. Ok. Per una volta ho parlato di me, ma smetterò alla fine di queste righe. Qui troverai i miei nuovi percorsi. Andremo alla scoperta dell’intelligenza artificiale tenendo sempre l’uomo ben saldo al centro.

  • Giornalista nel 2025: dall’Intelligenza Artificiale agli AI Agent

    Giornalista nel 2025: dall’Intelligenza Artificiale agli AI Agent

    Chi è un giornalista nel 2025? Cosa fa? Come lo fa?

    Essere un professionista dell’informazione, un giornalista, è una sfida. Una sfida che ha cambiato qualsiasi parametro, strumento, luogo, mezzo, mittente e destinatario. Fare il mio lavoro (e forse anche il tuo) è un percorso cambiato per sempre.

    Le cose da tenere

    Il giornalista è ancora un professionista che si occupa di una cosa precisa: il contenuto di informazione. In questa professione, se la vuoi interpretare, puoi quindi tenere ben presenti gli strumenti cognitivi, le capacità e il metodo.

    Come studi è fondamentale. Come apprendi è cruciale. Inoltre, cosa apprendi resta determinante per capire una cosa. Questo ti permette di saperla spiegare, rendere e trasferire a un pubblico.

    Il giornalista quindi rimane un mediatore della realtà. Prende una cosa, la fa sua, la trasferisce a un pubblico. Resta uno dei mestieri più vecchi del mondo. L’umanità ha sempre avuto bisogno di questa funzione: raccontare le storie, gli accadimenti.

    Il resto è da buttare.

    Le cose da cambiare nel mestiere del giornalista

    Lavorare come giornalista oggi è come fare l’astronauta. Sei sempre, costantemente, a contatto con l’ignoto. Non perché non sai quello cui vai incontro, ma perché non capisci se è vero. Negli ultimi anni, questo tipo di professionista si è dedicato a combattere le fake news. Tuttavia, l’epoca in cui viviamo oggi richiede una riflessione.

    Ha ancora senso distinguere il falso dal vero? Forse il giornalista deve fare un passo indietro e non interessarsi più di questa differenza. Deve interessarsi di trasferire a chi lo legge, vede, sente, le informazioni necessarie affinché sia lui a distinguere. Il giornalista, fino a ieri, ha avuto il compito di dirti “questa è la verità sostanziale dei fatti”. Oggi lo ha perso, se non altro perché la verità non esiste più (e forse non è mai esistita).

    Di conseguenza il giornalista deve cambiare: strumenti, metodo, media, committenti e destinatari. E approccio.

    L’intelligenza artificiale e il giornalista

    Nel mio lavoro di professionista del giornalismo ho iniziato a usare l’intelligenza artificiale ogni giorno. Per tutti i passaggi. Organizzazione, progettazione, produzione, formazione. La uso sempre.

    E come faccio?

    Come capisco che non mi sostituisce?

    Questa è la vera sfida del giornalista. Ecco i passaggi più importanti per fare in modo che al centro ci siano sempre il pensiero, i concetti, le parole dell’umano:

    • Grazie all’ingegneria del prompt, il giornalista deve rimanere unico nella progettazione delle informazioni. Queste informazioni devono condurre al risultato migliore per il suo pubblico. E per il mondo che lo circonda.
    • Una volta ricevuto l’output, deve verificarlo parola per parola e metterlo, per partito preso, in discussione.
    • Con i successivi prompt di correzione, deve eliminare errori, allucinazioni, bias, parzialità del contenuto.
    • Il giornalista deve poi fare in modo che la macchina, la IA, adegui perfettamente il linguaggio al suo pubblico.

    Rimaniamo umani, rimaniamo giornalisti

    Il giornalista del 2025 deve essere un AI journalist. Con la missione precisa di rendere “beneficial” per tutti il suo lavoro. Sai cosa vuol dire beneficial? Semplice: ogni cosa che realizza deve tendere al beneficio maggiore per il suo pubblico e per il mondo che lo circonda,

    Questa è la sfida. Ah, dimenticavo. Per generare una cultura che preveda l’interazione più etica tra uomo e macchina… ci vuole un giornalista. Ora perfino gli AI agent avranno bisogno di un giornalista. Un professionista che passa dal produrre il testo al progettare il contesto.

  • Cecilia Sala, il giornalismo di domani è oggi

    Cecilia Sala, il giornalismo di domani è oggi

    Il caso di Cecilia Sala alla fine del 2024 è un simbolo.

    La giornalista freelance che lavora per Chora Media e Il Foglio, famosa per il suo podcast Stories, è un simbolo. Cecilia Sala è il simbolo del nuovo giornalismo italiano e internazionale. Quello fatto dalle persone, dai professionisti che, con il loro lavoro, ora contano più dei media. Già, più di giornali, radio, tv e siti.

    Il 2025 sarà finalmente il loro anno, anche in Italia. Spero che sia anche l’anno in cui Cecilia Sala viene liberata e torna a casa. E spero sia presto.

    I media sono persone

    Ho guardato i social di Cecilia Sala da vicino e ho scoperto un mondo. Notizie, vita vissuta, volti, impegno, storie, conoscenza, spiegazioni. Ho visto i suoi social come quelli di Francesco Oggiano, di Gianluca Gazzoli e del suo BSMT, di Matteo Gracis e di Ciro Pellegrino. Frequentemente visito anche gli account di Nico Piro su X o di Carmine Benincasa, di Luca Talotta o Dave Legenda. Apprezzo molto Geopop e Cronache di Spogliatoio, mi piace da matti Francesco Costa. Alcuni sono freelance. Alcuni sono firme di media più tradizionali ormai divenuti più grandi del medium stesso per il quale lavorano. Alcuni sono diventati un’azienda.

    Su X c’è l’amico Giovanni Capuano, ma mi capita di leggere anche Maurizio Pistocchi. Su Youtube non perdo mai un video di Sandro Sabatini che ritengo un giornalista davvero con la “G” maiuscola. Vogliamo poi parlare di Fabrizio Romano, ormai fenomeno mondiale? Chiudo con Fabrizio Biasin e Daniele Mari, ma potrei continuare per molte righe.

    I media di oggi sono persone. Sono straordinari umani. Il più grande di tutti è Yusuf Omar (almeno per me). Questi individui sono talmente capaci di parlare il linguaggio dei social che hanno scalzato i media ed sono diventati medium. Guarda Masala e il suo Breaking Italy… oppure Tech Dale su Youtube. Gente bravissima che è informazione.

    Cecilia Sala è un simbolo

    Cecilia Sala è un simbolo di questa generazione di giornalisti che, ora come ora, è molto più importante dei media. Trump ci ha vinto le elezioni con i podcaster repubblicani, poche storie. Ha saltato tv e giornali tradizionali per arrivare al cuore del pubblico con questi giornalisti-medium. Sono loro, ormai, a informare il pubblico sotto i 50 anni, il pubblico che decide il futuro di un paese.

    Ormai l’Italia dinamica e giovane, quella che regge il paese e caccia le tasse, si informa così. Andando diretta verso giornalisti singoli, content creator, singoli account messi tra i preferiti.

    Journalist is the new medium… e allora?

    La cosa che ti ho raccontato vale per milioni di italiani e per centinaia di milioni di persone nel mondo. I giornalisti, i content creator che fanno informazione, sono i nuovi media. E adesso che si fa?

    Semplice: si esulta! Si esulta per la morte dei media tradizionali che restano attaccati a linguaggi della notizia ormai morti anche loro. Il giornale di carta… non esiste più. La tv? La vedono solo le nonne. I tg? Rimasuglio inutile di un mondo dei media sorpassato in modo definitivo da questi nuovi media-persone.

    Prima di avviarci a un 2025 davvero entusiasmante, dobbiamo attraversare due prese di coscienza. La prima la deve prendere questo nuovo pubblico che va verso i giornalisti-medium: deve verificare… sempre. Lo saprà fare?

    La seconda presa di coscenza la devono operare i media, gli editori e i giornalisti. Parlo di quelli che ancora non fanno parte di questo nuovo mondo. I media tradizionali devono accorgersi che sono morti nell’interesse del pubblico se non cambiano registro. Gli editori devono prendere atto che la generazione delle Cecilia Sala non la possono più trattare con sufficienza. Possono allearsi, ma con regole giuste, pagamenti e protezioni adeguate. Non possono più sconfiggerli perché questa generazione di produttori di contenuti di informazione è diventata grande. E può fare a meno di loro.

    I media sono morti, evviva i media

    In un mondo in cui c’è un social gestito da una sola persona (X), è difficile sapere cosa sia vero. Non è facile capire cosa non lo sia. In questo casino i media sono stati travolti dalla loro supponenza, dal pensiero che sarebbero sempre esistiti. Invece sono morti. Nel mare dell’informazione, ora, ci sono altri porti cui attraccare. Sono quelli dei giornalisti-medium che fanno un lavoro splendido. Alcuni sono talmente importanti che cominciano a parlare con le istituzioni.

    Alcuni straparlano o fomentano disinformazione, ma sta a te capire. Insomma, arriva il 2025 e ci porta il nuovo ecosistema dei media da interpretare. Fatto di persone come Cecilia Sala. Persone di cui abbiamo bisogno per capire quello che i media tradizionali hanno smesso di farci comprendere. Beh, sono morti, tutti. E sinceramente non mi mancheranno.

    Quello che va fatto, però, è ben altro. Ora l’informazione, le istituzioni dei media, il giornalismo, li deve riconoscere come fonti e li deve aiutare. Tutti quelli che ho menzionato in questo articolo e anche quelli che, se vuoi, puoi mettermi nei commenti, sono giornalisti. E sono importantissimi per il malandato concetto di democrazia e per i giovani, per il nostro futuro. Per cui liberate Cecilia Sala. Adesso. Buon 2025.

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    Il giornalista è una media company

  • Piattaforme digitali: dobbiamo parlare di luogo

    Piattaforme digitali: dobbiamo parlare di luogo

    Le piattaforme digitali che ognuno di noi ha a disposizione stanno diventando luoghi.

    E io e te dobbiamo parlarne un attimo. Siamo in una curva della nostra civiltà tecnologica. Abbiamo davanti molti strumenti digitali e molte differenti tipologie di connessione sociale, professionale e istituzionale che stanno cambiando senso.Le piattaforme digitali stanno cambiando senso: stanno, infatti, diventando luoghi e non solo semplici strumenti. Aesso ti spiego tutto.

    I social network non sono più loro…

    Lavori con il web, scambi messaggi con i social, ti connetti con il mondo con le app. Fai molte cose attraverso delle piattaforme digitali: acquisti, conoscenza, esperienze, informazioni, letture, scritture. L’epoca della comunicazione umana tramite i media di massa è finita. Ora ci sono tanti posti digitali dove vai a prendere le cose che ti servono o a cercarle.

    Nel frattempo anche i social sono cambiati. Erano posti dove leggevi dei tuoi amici, spiavi la loro vita, guardavi contenuti… perdevi tempo. Ora sono posti nei quali cerchi e vuoi cose più sostanziose. Altrimenti non ci entri più. Inutile dirlo, ma tanti social stanno perdendo utenti per un motivo: sono vuoti. Per fartelo capire ti chiederei l’ultima volta che hai trovato qualcosa di utile su Facebook… mi sa che farai fatica a ricordarla.

    Il web e le piattaforme digitali che vorresti

    I siti dei media, per esempio, sono, in pratica, invivibili. Giornali e testate, infatti, stanno scegliendo la via peggiore per darti dei contenuti. Tranne qualche rara eccezione tipo il “Post” in Italia. Di che via sto parlando? Della via del contenuto a pagamento dopo poche righe di testo, il maledetto paywall. I siti, però, hanno ormai una grande varietà di contenuti possibili da offrirti che andrebbe sfruttata. Potrebbero essere luoghi di dirette, di chat, di discussioni, di incontri, di concerti, di eventi. Tipo la chiacchierata che ho fatto con qualcuno di voi qualche giorno fa. E’ questa qui…

    La diretta sul concetto di luogo digitale fatta sul mio sito e caricata anche sul mio canale YouTube.

    Le piattaforme digitali che vorrei e che vorresti dovrebbero saper utilizzare tutti gli strumenti multimediali. Dovrebbero cercare interazione ed esperienza condivisa con i loro utenti. Alcune realtà lo fanno. Concerti su siti, eventi su siti, manifestazioni su siti. Si possono fare, potremmo farle insieme. I siti, quindi, che non si piegano alla logica del “se vuoi capirci qualcosa prima paga”, ci sono già. Il mio lo sta diventando e non smetterò finché non verrà percapito come un luogo digitale. Ecco, ma che cos’è?

    Piattaforme digitali? No, luoghi digitali

    Se vai su un social network e trovi più che una semplice informazione, stai attivando un’emozione o una reazione. Qualunque strumento digitale o web di fronte a te che ti attivi è un luogo digitale. Mi spiego: se quello che senti, vedi e fai su un sito o un social ti migliora… è un luogo digitale.

    Se ti arriva un messaggio di un amico che non vedi da tempo su Instagram, quello diventa luogo digitale. Perché quel messaggio ti emoziona, ti cambia anche solo per un attimo. Se vedi un video che ti spiega come risolvere un problema che pensavi irrisolvibile, beh, sei in un luogo digitale.

    Il luogo digitale è qualsiasi piattaforma ti permetta di agire e sentire, non solo di stare lì, passivo. Un luogo digitale è una piattaforma digitale che ti regali sensazioni, emozioni, sentimenti. Non solo informazioni. D’altronde i luoghi fisici sono questo: sono spazi che tu riempi di vita. Così sono i luoghi digitali: spazi virtuali che riempi di vita.

    Social e siti sono luoghi digitali

    Tanto per continuare: i miei social sono i miei luoghi digitali. Quando ci vado come utente mi connettono con le ispirazioni che mi servono. Scelgo account con accuratezza, vado solo su quelli. Quando pubblico sono il mio dialogo con gli altri. Il mio canale Youtube, per esempio, è un posto dove vivo e ascolto: per me è imprescindibile.Tanto per essere chiaro, ci sono anche luoghi dove scelgo anche di non andare. Uno di questi è “X”, ormai cloaca della stupidità umana. Se non hanno senso per me come persona, io su certi social non voglio stare. E tu?

    Le piattaforme social, quindi, sono luoghi digitali perché hanno reso più profonda la relazione con gli utenti. E stanno per diventare di più. Io, per esempio, frequento Horizon Worlds, il metaverso sociale di Facebook. Ecco: si tratta di una delle piattaforme digitali che è diventata luogo digitale perché solleva emozione. Non è solo un posto dove ci trasferiamo informazioni. E’ un luogo perché su quella piattaforma ci stiamo e ci staremo solo se ha senso… e dà senso.

    Una piccola definizione finale

    Insomma, il luogo digitale è un luogo virtuale, una piattaforma tecnologica che sa trasferire emozione a chi la usa. Uno spazio virtuale riempito di senso. Io lavoro e lavorerò su questo concetto per molto tempo. Voglio che anche questo posto qui sia un luogo digitale. Seguimi, vediamo insieme dove ci porta questa idea.