Il giornalismo visto da un treno.

Scrivo su un treno. Quando scrivo su un treno mi sento più protetto. Non so perché, sarà che il movimento sembra portarsi via le parole che, fuggendo, mi fanno meno male. Però è un’impressione, lo so, una chimera.

Forse non te ne frega, ma lo scrivo lo stesso.

Le parole che scrivo in queste righe, infatti, fanno male anche sul treno, segnano dentro, tirano stiletti al cuore. Voglio riflettere con te sul futuro del giornalismo italiano e sul presente del giornalismo altrove.

Perché altrove il giornalismo è vivo, qui il giornalismo è morto.

Premetto subito: forse della mia visione delle cose non te ne fregherà un beneamato, ma voglio mettere giù questi appunti, fare queste fotografie della situazione, raccontare questi fatti e fare queste riflessioni, affinché vadano agli atti della mia modesta vita, ma raccontino anche che io mi batterò sempre perché le cose non rimangano come sono. Sarà pure una battaglia persa, ma la combatto in ogni caso. Quindi o ti saluto qui o spero che tu possa continuare a leggere usque ad fundum.

Una strana telefonata e la ghigliottina.

Nei giorni scorsi ho avuto la possibilità di fare una lunga chiacchierata con un collega che adoro. Abbiamo condiviso notti e speranze, delusioni e frustrazioni, sogni e bellissime storie raccontate. Parlando (e abbiamo parlato di tutto, visto che lui è uno dei pochissimi che mi ha seguito nella mia seconda vita lavorativa) ho tagliato una frase che è risuonata come una ghigliottina sulle speranze di chi fa il mio lavoro, almeno dentro questi confini nazionali.

La categoria dei giornalisti.

Stavo parlando dei giornalisti e ho definito la categoria così: “La categoria dei giornalisti – gli ho detto -si divide in due sottocategorie. Una è quella degli stronzi e, come sai, è ben frequentata. Gli stronzi sono tanti, ovunque, in ogni categoria. L’altra, tuttavia, è quella dei devastati. Devastati perché non riescono nemmeno a respirare (figuriamoci a pensare) se sono fuori sulla strada, visto che per guadagnare un onorario da fame devono trottare dalle 9 alle 22 senza riposo o contezza che qualcuno paghi le loro fatture. Devastati se sono dentro le redazioni perché chi ha il culo al caldo è troppo impegnato a salvarselo per fare il mestiere del giornalista nel frattempo”. La sua risposta: “Hai ragione”.

Se sei un direttore, poi…

Pochi giorni dopo ho parlato anche con un direttore di testata. L’ho visto tirarsi in volto quando mi ha raccontato da quanti anni e per quante volte il suo editore gli ha bocciato qualsiasi iniziativa editoriale. Ho preferito non chiedergli, invece, quante volte frequentano il suo ufficio gli scagnozzi della pubblicità. Avevo paura di quello che mi avrebbe risposto. L’ho visto stanco di non sapere dove va la sua testata, cosa può fare o non può fare. L’ho visto stanco di non capire che futuro avrà.

“Pronto? Parlo col giornale Pincopallo?”

Poi è successo altro. Per alcune iniziative del mio progetto ho contattato le redazioni di un giornale e di un sito. Volevo raccontare il mio lavoro e dire che avrei, nel giro di pochi giorni, tenuto un evento a pagamento. La risposta? Praticamente all’istante mi è stato fatto capire che se volevo che si pubblicasse qualcosa sul giornale (o sul sito) dovevo passare dalla pubblicità. Non mi era mai capitato di sentirmelo dire apertamente, senza poi discutere del fatto che 1) quella che stavo proponendo era una notizia, perché era la prima volta in assoluto che si teneva un evento di quel genere nel territorio di quelle testate; 2) Non ci ho praticamente guadagnato nulla vista la montagna di ore che mi sono occorse per prepararlo. Figurati se avevo soldi per pubblicizzarlo. La prossima volta chiamo direttamente la concessionaria, visto che il giornale lo fanno loro. Quando facevo il giornalista non sapevo nemmeno dove fossero gli uffici della pubblicità.

I marchettifici e la pubblicità degli influencer.

Ho avuto sentori di questa puzza anche altrove, ma mi limito a pensare che è prima il caso di toccare con mano la maleodorante trasformazione dei giornali in posti nei quali la pubblicità decide che cosa si scrive in modo definitivo e ultimativo. Ti farò sapere. Intanto prego te e altri di non venire a farmi la morale sulla pubblicità dei blogger o degli influencer perché quella è chiaro a tutti cosa sia. Per questo è meno stronza. Tutto alla luce del sole: la marchetta ha il bollino: lo vedi, se vuoi continui, se vuoi cambi pagina o stoppi il video. È semplice la differenza: il giornalista che chiede di passare alla concessionaria è una prostituta italiana, quello che fa sponsored post è una prostituta di Amsterdam. In vetrina, curata, controllata, con il cartello della non positività all’HIV fuori dalla porta.

Il lampo di Yusuf.

Un giorno mi telefona A. e mi dice “Oh Facco (lui mi chiama così) ma hai visto cosa ha fatto il tuo amico Yusuf Omar?”. Trasecolo: Yusuf è un amico, ma è anche uno su cui ho scritto testi, come puoi vedere da questo articolo. “Cosa ha combinato?”. E lui: “Ha appena lasciato la CNN. Dopo 7 settimane… dice che se ne va in giro per il mondo”. Quando ho capito ho avuto un brivido gelido lungo la schiena. Uno dei più visionari giornalisti del mondo ha mollato una delle più importanti televisioni del mondo per due motivi: 1) Perché stavano tentando di ingabbiarlo (e questo motivo ce lo metto io e lui non me lo confermerà mai; 2) Per andare in giro per il mondo a insegnare a comunità di stati emergenti a usare il Mobile Journalism per far sentire la propria voce al di là di qualsiasi editore, giornale, sito, tv.

Il prossimo miliardo.

Yusuf e sua moglie Sumaiya gireranno 20 nazioni realizzando incontri e workshop sul mojo e io ho voluto chiedere perché a Yusuf: “Perché ci siamo accorti – mi ha detto personalmente – che i media mainstream perdono troppe storie. Sono omologati, schiacciati, uguali. Fuori dai soliti circuiti c’è un mondo di storie che nessuno racconta e che noi vogliamo far raccontare ai protagonisti stessi, facendo a meno dei media, con la loro voce, grazie al mojo. Storie vere, magari prese da più di un telefono, da più di una angolazione, storie che aiutino le comunità a uscire allo scoperto”. Non so se te l’ho già detto, ma è semplice: Yusuf sta andando dove c’è il prossimo miliardo di utilizzatori di internet, il quale non digiterà un carattere, ma parlerà e vorrà ascoltare la voce del mondo tramite contenuti multimediali. Si tratta, tra l’altro, di un miliardo di utilizzatori del web di paesi emergenti.

Mentre il cadavere del giornalismo imputridisce, c’è chi va verso un altro pianeta. Il progetto di Yusuf e Sumaiya Omar è www.hashtagourstories.com. Il futuro è li. Io vado: vieni?


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