Personal branding, netbranding e giornalismo: facciamo chiarezza
STO STUDIANDO, COME TE. In questo blog parlo di due cose: #sharingjournalism e #sharingdaddy. Sono i miei due progetti, le cose che studio tutti i giorni. In un post recente,...
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STO STUDIANDO, COME TE. In questo blog parlo di due cose: #sharingjournalism e #sharingdaddy. Sono i miei due progetti, le cose che studio tutti i giorni. In un post recente,...
Posted by Francesco Facchini
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Posted by Francesco Facchini
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Posted by Francesco Facchini
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Posted by Francesco Facchini
MILANO. Arriva dalla notte brasiliana l’epopea di due mamme vincenti, Diana Bacosi e Chiara Cainero, le quali hanno vinto rispettivamente l’oro e l’argento nella...
Posted by Francesco Facchini
NON L’HO VISTA. Non volevo vederla e non l’ho vista, l’intervista fatta dal Gran Visir Bruno Vespa al prode Salvo Riina. Non l’ho vista per scelta, perché...
Posted by Francesco Facchini
IL TUO ZAINETTO COSA CONTIENE? Ecco, è proprio questa la prima domanda buona per chi voglia campare di giornalismo multimediale. Sono da un decennio uno studioso del mobile...
Posted by Francesco Facchini
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Posted by Francesco Facchini
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Posted by Francesco Facchini
LA PRIMA INTERVISTA DI SHARINGDADDY. Ecco la mia prima intervista da #sharingdaddy, pubblicata dal giornale Metro qualche giorno fa. Dopo la pubblicazione, online e cartacea, la...
Posted by Francesco Facchini
STO STUDIANDO, COME TE. In questo blog parlo di due cose: #sharingjournalism e #sharingdaddy. Sono i miei due progetti, le cose che studio tutti i giorni. In un post recente, questo, ho parlato di netbranding come di uno strumento necessario per i giornalisti. Studiando sul web mi sono accorto che netbranding e personal branding sono pane quotidiano nei media stranieri, mentre da noi non se ne parla. Siccome in questo blog voglio condividere il mio know how sul giornalismo e suoi suoi modi, penso sia il caso di fare chiarezza.
PERSONALITA’ ONLINE. I giornalisti possono diventare personalità online, per la loro competenza nei campi specifici del loro lavoro o per la loro qualità. Nel processo di disintermediazione dei passaggi tra notizia e lettore, possono anche diventare un punto di riferimento diretto, per questi ultimi, con le notizie stesse, con i reportage e i movimenti della società che interessano chi legge, chi cerca sapere. Quest’ultimo è un passaggio che risulta molto utile al cronista stesso per potersi creare un profilo professionale specifico che risulti appealing per chi compra i suoi contenuti e un pubblico diretto che può rappresentare un seguito tangibile e misurabile che aumenta il “fascino” di quanto dal professionista stesso viene prodotto. Per dirla alla casalinga di Voghera: se un giornalista ha una ottima personalità online, ha molti follower, chi acquista il suo lavoro sarà più invogliato a farlo perché sa che ha già un pubblico “incorporato”. Per questo motivo il personal branding è un aspetto assolutamente necessario per la nuova professione giornalistica.
AGLI EDITORI ITALIANI PIACE POCO. Gli editori del nostro paese in particolare, ma anche al resto degli editori, piace poco. Questo straordinario articolo dell’European Journalistic Observatory lo conferma. Il personal branding giornalistico è un fenomeno in verticale ascesa, ma non viene “aiutato” da chi edita, anzi il contrario. Spesso i giornalisti incorrono in problematiche professionali a causa di semplici post di social media che, magari, si discostano anche di poco dall’opinione imperante del medium per cui lavorano. Tuttavia vi è un movimento, iniziato negli Usa, per cui i giornalisti con ottimo seguito social, si distaccano dalle redazioni di grandi giornali per creare progetti editoriali basati sulla loro personalità online. E’ il caso di Ezra Klein che lasciò il WashPost per lavorare a una sua iniziativa già nel 2014. E’ un business rischioso, come suggeriva Michaell Wolff in questo articolo nel 2014 esaminando con grande attenzione i numeri di questo fenomeno. Però rivela una tendenza che ha avuto casi di successo come quello di Arianna Huffington e che ha insegnato una cosa importante: il personal branding è necessario per i giornalisti. Agli editori italiani non piace perché sviluppano una sorta di possesso del giornalista che deve sottostare alle regole e ai dettami social della testata. Chi fra i giornalisti italiani ha un grande seguito internet ce l’ha per merito preponderante della testata stessa, non per la competenza diretta che ha o per la personalità seria e coerente che mostra. E’ una delle ramificazioni del rapporto distorto giornalisti-editori italiani che non tiene conto del fatto che, acquistare l’individualità professionale di un giornalista seguito, aumenterebbe il seguito della testata, se solo non si riducesse la stessa a una velina del giornale o della tv o del sito per cui lavora.
IL PERCORSO GIUSTO. Insomma, se il personal branding del cronista fosse valorizzato per quello che è, il giornalista potrebbe portare la sua piccola o grande fetta di pubblico dentro il giornale che acquista i suoi contenuti o che lo assume. Se il giornalista fosse, invece, bloccato nella direzione contraria, cioè quella di diventare soltanto veicolo dei contenuti che produce per una testata, il risultato sarebbe la perdita di audience del giornalista stesso e il mancato guadagno di lettori o spettatori “importati” per la testata. Questo percorso, quello della costruzione di una personalità giornalistica individuale, è un passo in avanti importantissimo per la carriera del giornalista e va difeso. Per capire meglio la situazione sono esplicativi questo post e questa ricerca.
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Perugia, l’impressione di un assaggio Il mio primo giorno al Festival Internazionale di Giornalismo di Perugia (a proposito, la città è meravigliosa) è passato con il mirino...
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