Farsi pagare una fattura: e se la dritta fosse un sito?

Quando scrivo pezzi sulla professione parlando di pagamenti delle fatture mi viene la malinconia. Siamo in una tale situazione di disarmo che cercare di essere “positivi” di fronte a un argomento del genere è una cosa che mi mette una tristezza pazzesca. Farsi pagare una fattura: è una vera tragedia. Quando abbiamo fatto il corso “Voglio (devo) fare il freelance” sono andato a scassare i cosidetti a tutti i commercialisti o i legali che mi trovavo a tiro, dicendo e ripetendo come un matto la stessa nenia: “Come si fa a farsi pagare una fattura?”. La configurazione stessa del rapporto tra un freelance e una testata giornalistica fa nascere il rapporto di lavoro in modo sbilenco, ma come possiamo raddrizzarlo in modo che farsi pagare una fattura non diventi una chimera? Forse con una piattaforma.

E’ un discorso utopistico, ma se non lo fa qualcuno per primo…

Certo non dovrei farlo io questo discorso e nemmeno tu. Dovrebbero intavolarlo (e seriamente) le componenti del mercato di lavoro giornalistico, al fine di mettersi al servizio della causa e trovare una soluzione. Io addirittura avevo mesi fa proposto questa soluzione qui, ma è caduta nel silenzio. Allora rilancio la cosa e suggerisco una seconda via per far diventare la frase “farsi pagare una fattura” una frase reale (e non da fiction).

Le componenti come Ordine dei Giornalisti ed editori, dovrebbero codificare insieme formule di pagamento incontestabili e sopportabili per entrambi e dovrebbero farlo, è solo una mia idea, approfittando delle nuove piattaforme di acquisizione lavori che stanno prendendo piede all’estero. Sto parlando di servizi come Paydesk, una piattaforma inglese dove ci si può iscrivere ed essere “affittati” e pagati con certezza da signori clienti. Chiacchierando con Henry Peirse, londinese con un passato giornalistico, divenuto imprenditore proprio per dare risposta a questa esigenza dei freelance (lavorare e farsi pagare, appunto), ho potuto sapere quali servizi offra la sua piattaforma e mi sono messo a sognare.

Il profilo è gratuito.

Per il giornalista il profilo è gratis e fra i servizi c’è perfino l’assicurazione che Paydesk garantisce al freelance nell’esecuzione del lavoro. Dati e lavori passati a parte, è interessante la bacheca sul quale si possono mettere i pitch delle storie che si intende realizzare per vedere se qualcuno le compra o ti contatta, come fosse una vera vetrina della gioielleria. Mi ha entusiasmato la coerenza, la pulizia e l’efficacia dei servizi offerti, ma anche il pensiero che una piattforma come questa possa cambiare il gioco.

Se l’Ordine la rendesse obbligatoria (ma sto ancora sognando)

Se l’Ordine dei giornalisti la rendesse obbligatoria, se questa piattaforma fosse un tramite tra il freelance che sta in mezzo a una strada (in tutti i sensi) e il caporedattore che gli comanda un pezzo (quando va bene, perché magari è uno stagista), beh, il rapporto verrebbe reso più rigido e meno lasco nella comanda del lavoro e nell’esecuzione stessa. Finirebbero i “manda, manda, che poi vediamo!” e le situazioni in cui il giornalista è obbligato a fare il lavoro e a mandarlo, mettendo a rischio la sua vendibilità, magari, ad altri.

Con una piattaforma, la contrattazione, il prezzo e il pagamento dovrebbero essere codificate da canali rigidi. Non si vuole stare al gioco? Bene, non si prende il materiale e la finiamo con tutte quelle storie che i giornali inghiottono senza pubblicarlo. Se l’Ordine trovasse un modo di rendere una piattaforma come questa un tramite fisso nel rapporto tra collaboratore giornalistico ed editore, tutte le fatture verrebbero pagate.

Ora mi sveglio.

Paydesk promette bene, ma è chiaro che anche la legislazione dovrebbe dare una mano per codificare quei pagamenti tramite piattaforma. I pagamenti, infatti, sono tutti da verificare, per il libero professionista, sotto il profilo fiscale. “La nostra idea è quella di rispondere all’esigenza che il lavoro vada pagato e bene – mi ha raccontato Peirse  in una cordiale chiacchierata di qualche tempo fa -. La nostra piattaforma potrebbe essere perfino un modo per fare pressione e alzare i prezzi: se tutti partecipassero, infatti, costringendo i publisher a passare dalla piattaforma, nessuno scapperebbe facendo il “franco tiratore” per prendere il lavoro… a meno. Perché? Perché verrebbe isolato”.

Si, però in Italia c’è il furbo…

Il problema, infatti, è quello. Se ci fosse uno strumento per parificare e stabilizzare i rapporti, sono infatti convinto che in Italia verrebbero subito fuori i furbi. Parlo di quelli che stanno fuori dal gioco perché sicuri di avere in tasca una soluzione migliore. Quella individuale. Qui si potrebbe aprire un’infinita discussione, ma intanto spero di avere puntato lo spot su un mondo interessante, come quello delle piattaforme di “affitto” dei freelance giornalistici. “Se fossi in voi – ha concluso Peirse chiacchierando l’altro giorno – farei parte di una, dieci, cento piattaforme come questa. Le occasioni arriverebbero e la tranquillità di lavorare e venire pagati per questo aumenterebbe la serenità della vostra vita, aumentando la qualità del vostro lavoro”.


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