Mobile Journalism: lo stato delle cose nel 2018

Il mobile journalism italiano è cresciuto, molto. 

A settembre saranno più o meno due anni dall’inizio del mio progetto di divulgazione del mobile journalism in lingua italiana. Forse un pochino di più se vai a rileggere questo articolo datato 9 aprile 2016, quando ancora parlavo di mobile journalism quasi senza avere contezza che ero dentro una nuova cultura e un nuovo mondo del giornalismo. Leggilo, fa tenerezza. Già, mi fa piacere anche pensare che tutto il mio progetto sia sotto gli occhi di tutti, leggibile dall’inizio alla fine, anche adesso che questo blog viaggia stabile sui 1800 lettori unici al mese. Sul mobile journalism, poi, ho scritto anche questo articolo, raccontando uno stato delle cose che era tutto fuorché roseo, almeno in quel momento. Era il 16 ottobre 2016 e tutto doveva ancora essere fatto (e anche io mi dovevo… fare). 

La comunità esiste, eccome.

Il mobile journalism italiano è nato nel 2015 dalla visione di Nico Piro, collega del Tg3, ma anche dal coraggio di Lazzaro Pappagallo, dirigente dell’associazione Stampa Romana che per prima ha varato i corsi sulla materia. Nel 2017 è nata Italian Mojo a Milano, per mano e cuore di Fabio Ranfi, Fabio Benati, Andrea Fontana e Sabrina Della Valle. Corsi, eventi, pubbliche prolusioni, collaborazioni con l’Ordine regionale dei giornalisti della Lombardia. Passo dopo passo la romana Mojo Italia e la milanese Italian Mojo sono nate, cresciute e si sono sviluppate cominciando a far penetrare nel linguaggio comune del giornalismo italiano le parole mobile journalism. Alcuni corsi sono anche stati sviluppati dal Centro di Documentazione Giornalistica, sempre con i romani Enrico Farro e Nico Piro, incaricato di redigere un libro sulla materia del mobile journalism che uscirà a settembre 2018.

Il corso alla Regione Lombardia

Italian Mojo, invece, ha raggiunto oltre 400 persone in un colpo solo nell’evento organizzato dall’Odg Lombardo “Voglio fare il freelance” al Palazzo della Regione nel settembre 2017, corso replicato anche nel marzo 2018. Oltre 200 erano i presenti agli Stati Generali dell’Informazione in Lombardia a Palazzo delle Stelline a Milano. Centinaia le persone formate nei corsi e quelle toccate da corsi accessori come quello sviluppato nel giugno del 2018 con riferimenti anche alla deontologia professionale e al Brand Jourmalism. La comunità milanese cresce con minore intensità rispetto a quella romana, ma ha già esempi di giornalisti sganciati nelle redazioni e nelle aziende a contaminare il flusso normale del lavoro con il viruso del mobile journalism.

Parigi e Galway, noi ci siamo.

Il mio intervento a Mojofest 2018

Il 2018 verrà ricordato, in Italia, anche per altri due passi che hanno portato la comunità italiana a rafforzarsi ancora. Sto parlando della mia partecipazione come speaker alla conferenza “La Video Mobile” di Parigi nel febbraio del 2018 e la mia partecipazione come moderatore di un panel alla conferenza di Galway, quella Mojofest che da tutti è ricordata come un punto di riferimento internazionale della community.

Le esperienze accademiche

Fra le mie attività accademiche ci sono da annoverare, nella scorsa stagione universitaria, corsi ai Master della Iulm (Wellness and Beauty, Management dello sport e Food and Wine), al corso di Management dello Sport dell’Università di Pavia e una lezione presso la Scuola di giornalismo della Lumsa. Di grande importanza anche le esperienze di Nico Piro, con il quale condivido il ruolo di divulgatore del mobile journalism in lingua italiana. Il collega della redazione esteri del Tg3 è stato impegnato, con l’aiuto di Enrico Farro, al Master del Sole 24 Ore e alla Business School del quotidiano, alla Scuola di Giornalismo di Salerno, è stato fra i più “osannati” relatori del Dig a Riccione e ha rappresentato l’Italia anche alla nona conferenza della European Broadcasting Union nel 2017.  In questi giorni ci sono ulteriori elementi che fanno pensare a novità nei confronti delle Scuole di Giornalismo (la Lumsa in particolare), ma non posso ancora dire alcunché. Il mobile journalism, comunque, è entrato lentamente nelle stanze dove si studia il presente e il futuro del giornalismo. 

La figura di Lazzaro Pappagallo, di Fabio Benati e le istituzioni.

Nel 2018 è successo di più: è l’anno che verrà ricordato come quello del primo festival italiano del mobile journalism, Mojo Italia. Per rendere giustizia alla manifestazione vanno sottolineate alcune cose. La prima è il ruolo di Lazzaro Pappagallo, sindacalista al vertice del movimento di Stampa Romana. L’opera di questo professionista, la protezione e la carta bianca data al team di Mojo Italia per organizzare il festival, insomma, l’appoggio fornito è determinante per la storia del mobile journalism italiano (e non me ne voglia Nico Piro e tutto il team romano). Così come il collega Fabio Benati a Milano, uomo dell’Ordine da sempre e attivo nella politica della professione, a Roma Lazzaro Pappagallo ha mostrato la vita del rinnovamento intepretanto un ruolo del sindacato come di quella istituzione che “deve portare il lavoratore – sono parole sue – dove c’è il lavoro”.  Sono convinto che Pappagallo sia una chiave di volta per il futuro del mobile journalism e auguro ai colleghi romani che stia dov’è per molto tempo. Fabio Benati, invece, si spende al mio fianco ormai da oltre un anno divulgando il verbo del mobile journalism e guidandomi in modo sapiente nei rapporti con le istituzioni da “conquistare”, da convincere, da far innamorare. Un professionista eccelso che si batte per il bene della professione da decenni, oltre le correnti politiche e le convenienze.

Le istituzioni come la FNSI sembrano seguire con interesse il movimento del mobile journalism italiano, così come lo fa con vigore il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti lombardo Alessandro Galimberti che si sta adoperando per l’introduzione del mobile journalism anche nell’Istituto per la Formazione al Giornalismo Walter Tobagi. Percorso non facile… a quanto sembra. 

Il presidente dell’Ordine Lombardo Alessandro Galimberti.

Io sto lavorando al suo fianco e cerco di sostenere la cosa, perché penso che il cambiamento vada aiutato e supportato dentro le istituzioni. Stare fuori a criticare è molto, troppo facile. In questo senso ho anche fatto vista all’amico Carlo Verna, Presidente Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, per raccontargli con passione il progetto. 

Il grande evento: Mojo Italia

Il direttore di Mojo Italia Nico Piro

Fatta la premessa, posso entrare nello specifico con il racconto di Mojo Italia. Il primo festival del mobile journalism italiano. E’ dal 21 al 23 settembre, presso Stampa Romana e la Casa del Cinema, immersa nella bellissima Villa Borghese. Lo sta organizzando il team di Mojo Italia che, parte Nico Piro, conta anche altri mojo come Natalia Castaldini o Vally Corona, ma vede l’appassionata partecipazione di tutta la comunità mojo romana. Un team affiatato che ha messo in piedi 15 seminari gratuiti in 3 giorni di evento, per quello che è un grande evento di formazione gratuita per giornalisti e professionisti del visuale, con la collaborazione proprio di Italian Mojo e dell’Associazione Filmaker diretta da Enrico Farro. Montaggio con Kinemaster o Luma Fusion,  introduzione al mojo, il Vlogging, gli altri social come Instagram, come fare un podcast: questi solo alcuni degli argomenti della tre giorni per un programma fittissimo, con i massimi esperti ialiani, che puoi trovare qui.

Dalle prime notizie sono oltre 300 le iscrizioni ai seminari per una manifestazione che si annuncia come quella che dividerà un prima da un dopo nella storia del mobile journalism italiano. Il tutto anche perché c’è un primo timido interesse anche da parte degli editori che, probabilmente, faranno capolino alla manifestazione. Ci saranno anche tre concorsi mojo che puoi trovare qui se vuoi metterti alla prova.

Editori, se ci siete battete un colpo

Il grande passo che deve fare Mojo Italia è dare riconoscimento alla comunità italiana e farle sapere che esiste. Se posso mettere fuori un difetto di questa manifestazione ritengo che sia quello di essere in lingua italiana, ma va detto: in Italia i mobile journalist devono prima conoscersi e vincere le diffidenze. Poi potranno dire la loro anche all’estero. Il secondo grande passo è quello di uscire dal guscio e di far capire agli editori che il giornalismo va nella direzione del mobile journalism. Ci va con una comunità nuova e unita, moderna e creativa: non parteciparvi e non immettere il mobie journalism (tutto) nel processo delle aziende editoriali, è un errore. Saprà Mojo Italia fare questo? Intanto ti dico una cosa, se ti interessa il mobile journalism e non ci sarai, beh, hai torto. Terrò anche un seminario sui business possibili con lo smartphone: vieni? 


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