Business model: il grande boh del giornalismo e dei giornalisti.

Me lo chiedono sempre, probabilmente me lo hai chiesto anche tu se ci conosciamo di persona. Cosa? La domanda suona più o meno così:

“Si, ok, mojo, tutto fico, ma come ci campo?”

Ecco, parlare di business model ai giornalisti e a chi fa professioni visuali come la mia, sembra una sorta di delirio. Però te lo dico: è la domanda che tutti, specialmente i freelance, dovrebbero farsi ogni mattina prima di inventarsi qualcosa per lavorare e pagare le bollette e la spesa. In questo articolo provo a suggerirti consigli utili e notizie che ti facciano collegare i punti tra le cose per creare proposte di servizi e di prodotti che possano rappresentare un business model sostenibile, un modo di lavorare che ti faccia guadagnare.

Cambia modo di pensare.

Ricordo molto bene quando facevo il collaboratore di giornali e il mio capo mi chiamava dicendo “Hai 40 righe”. Ora mi viene da dirti che se sei in quella situazione dovresti scappare a gambe levate. La prima cosa che devi fare per avere un business model vincente nella tua attività giornalistica, quindi, è cambiare il modo in cui pensi il tuo lavoro e il modo in cui lo fai. Devi andare a cercare i soldi perché solo con quelli puoi andare avanti e devi farlo scardinando i comuni binari dell’editoria che hanno portato a situazioni devastanti come quella che puoi leggere qui, egregiamente affrontata dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia nella persona del Presidente Alessandro Galimberti.  Per mettere in atto il tuo “follow” the money devi smettere di pensarti come un giornalista e basta e iniziare a pensarti come un produttore di contenuti.

Il cliente di un giornalista? Chiunque.

Se smetti di pensarti come qualcuno che deve lavorare in un Ufficio Stampa-Tv-Giornale-Sito-Ente-Istituzione e cominci a pensarti come qualcuno che può lavorare per chiunque (viste le rivoluzioni avvenute con il marketing di contenuto e con il giornalismo di brand), perfino per i tuoi colleghi o per chiunque voglia avere una corretta immagine pubblica. Pensati come qualcuno che possa fare da facilitatore o da produttore, da insegnante o normalizzatore, da creatore di progetti editoriali a scrittore, da videomaker ad audiomaker.

Nelle mie fatture dello scorso anno ci sono servizi di consulenza editoriale per persone fisiche e corsi di formazione, produzioni di brand journalism e realizzazioni video per campagne di crowdfunding. Ti può bastare come esempio? Il tuo business model deve essere basato su due concetti: o vendi la tua unicità o vendi servizi che puoi e sai fare bene in mercati che non sono il tuo o in modi non classici di prendere il denaro da qualche parte. Come? Pensaci. Pensa chi può avere bisogno dei tuoi servizi o chi (o cosa) possa darti talmente tanto seguito da rappresentare un driver di traffico tale che le tue piattaforme possano generare guadagni o le tue pubblicazioni essere vendute attraverso qualche servizio di direct publishing.

Le piattaforme di pubblicazione? Creano per te dei business model.

Già molto tempo fa avevo parlato del mondo del self publishing in questo articolo nel quale c’è una ottima intervista a Giulia Poli, al tempo (e forse ancora) Head of Kindle Content per l’Italia. Quel tipo di business model, quello che arriva dal pensarsi come un editore piccolissimo, è uno di quelli che sta iniziando a funzionare e funzionerà sempre di più. Ce ne sono molti altri e molti passano anche dagli stessi meccanismi che hanno arricchito gli Youtuber. Se ce la fanno loro, anche la tua professionalità può dare al tuo pubblico prodotti per i quali vale la pena pagare. Le piattaforme di pubblicazione, quindi, creano per te dei business model interessanti. Io, per esempio, ho aperto proprio in questi minuti Gumroad, che è una piattaforma che facilita la distribuzione di contenuti a pagamento verso il tuo pubblico. Il consiglio che ti do, tuttavia, è quello di essere tu protagonista nella ricerca dei canali che ti fanno creare il tuo business model sostenibile e duraturo. Altrimenti resterai sempre in difetto in un atteggiamento fondamentale della professione, specialmente ora. Di cosa sto parlando? Del cambiamento continuo sul quale devi “basare” la tua professionalità e il tuo lavoro di ogni giorno.

Guarda fuori, guarda al mondo.

Analizza le situazioni e i nuovi prodotti proposti dai media di tutto il mondo. Ti dico di più analizza gli errori. Te ne spiego uno che riguarda Snapchat e una delle televisioni più importanti del mondo, la CNN. Il network di Ted Turner ha chiuso il suo canale di storie via Snapchat.

Business model e social: un mondo da esplorare
Se cerchi la CNN su Snapchat non la trovi più

La CNN fa flop su Snap.

Istintivamente ti verrebbe da pensare: se la CNN ha chiuso, allora non vale la pena sprecare parole o atti per cercare. Ecco: è esattamente vero il contrario perché i grandi media stanno sbagliando tutto, a cominciare dai linguaggi. Per questo val la pena guardarli e guardare le loro mosse e la loro incapacità di cambiare linguaggio, per vedere e verificare dove la nuova domanda di lavori e di prodotti strani incontrerà la tua offerta. Perché sbaglia la CNN che, come vedi da questa foto, ha chiuso la sua finestra su Snapchat? Perché voleva replicare su Snapchat i linguaggi della tv. Ecco, appunto. E chiedersi prima cosa gliene poteva fregare ai ragazzi che snappano di un tg della CNN, no?

Conosci Facebook Watch?

In generale sai che sogno un mondo pieno di giornalisti e senza editori. Ecco uno dei modi per realizzare questo sogno è Facebook Watch di cui il professor Quinn aveva dissertato con me nel pezzo che puoi leggere qui. Se non lo conosci sarà il caso che tu ti sforzi, perché potrebbe cambiare molte cose, proprio nei giorni in cui Facebook riduce le speranze delle pagine delle aziende di comparire “da sole” (cioè senza pagare) nelle timeline dei clienti.

Alcuni stanno già gufando…

Su Facebook Watch ci sono tam tam che raccontano di nasi storti e di un business che stenta a decollare, come puoi vedere qui. Il fenomeno, però, è talmente embrionale che giudicarlo frettolosamente rischia di essere una cantonata. Ti racconto un paio di cosette in più sul fenomeno. Ebbene, le revenue saranno del 55% per il creatore di video e del 45% per il social, quindi se riesci ad avere i numeri per entrare nel giro avrai Zuck come socio di minoranza! Scherzi a parte questa app va nella direzione che è ben delineata nella testa del ragazzotto di Menlo Park. Una direzione che porta alla replica di Youtube e alla sostituzione, assieme allo stesso tubo, ai colossi dello streaming e a Amazon, dell’intero ecosistema della tv.

Non sei ancora convinto? Sai che Amazon ha creato Echo Show e Facebook ha già iniziato a rispondere? Ti sembrano farneticazioni? Spiegoti e chiudo qui, invitandoti a pensare il business model in modo diverso. Da subito. Allora, il riccastro Jeff Bezos ha trasformato il suo spacciatore di contenuti di Amazon, Eco, in un diffusore di contenuti con lo schermo, il quale si chiama Echo Show.  Ebbene, ti do per certo che Facebook risponderà con Portal, un hardware che apre lo scrigno dei contenuti di Faccia Libro. Penso che tu ne abbia abbastanza per pensare business model vincenti da qui al 2090.


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