Effettivamente è un po’ che non racconto lo stato dell’arte del mobile journalism.

Prendo spunto dal fatto che il mio fraterno amico Matias Amigo, uno tra i più importanti esponenti del mobile journalism sudamericano, mi ha chiesto un aggiornamento sulle pagine che mi riguardano nella sua “Mentes Mòviles“, splendida guida al giornalismo in mobilità in spagnolo, per dare uno sguardo in giro e cercare di fotografare il momento della cultura che ho divulgato negli ultimi 7-8 anni.

L’evoluzione del mobile journalism

La fase pionieristica del mobile journalism, quella nella quale strani innovatori creavano contenuti visuali per l’informazione utilizzando gli smartphone per girare e montare, sembra sia finita. Anzi è finita. Se si pensa al giornalismo mobile come a una spinta culturale che puntava a cambiare i modelli della professione giornalistica, va detto che quella fase è terminata e il motivo è semplice.

Il mojo è stato un movimento coraggioso e oltraggioso quando è cominciato, con la community di Mojocon poi diventata Mojofest. Poi si è diffuso come un virus nelle redazioni ai quattro angoli del pianeta mettendosi di fianco al modo normale che avevamo di produrre contenuti, principalmente video, ma non solo, per le nostre media company. La potenza di calcolo degli smartphone, la tecnologia del comparto fotografico, la velocità di connessione sono aumentate in modo velocissimo portando lo smartphone dall’essere una “seconda soluzione” di emergenza per riprendere un immagine… all’unico hardware per la ripresa con cui molti giornalisti lavorano tutti i giorni.

Dalla pandemia in poi, ancora più veloci

Il cambiamento del rapporto tra uomo e smartphone, in generale, è diventato realtà con la pandemia di Covid-19. Tutti abbiamo capito che il nostro device può farci fare cose importantissime, non solo distrarci con qualche video su YouTube o qualche messaggio di un amico su WhatsApp.

Se è cambiato il rapporto delle persone normali con il telefonino, non poteva non cambiare quello dei giornalisti. Dal Covid in poi andare live con uno smartphone, filmare con uno smartphone, editare con uno smartphone e pubblicare con uno smartphone è diventato la normalità della professione del giornalista. Dal Covid in poi siamo andati ancora più veloci.

Lo smartphone è anche diventato uno straordinario terminale di software in cloud per lo storage e l’editing dei video. Grande parte delle app di filming sono diventate capaci di collegarsi a cloud (vedi Filmic Pro con Frame.io di Adobe o l’ecosistema di Blacmagic Camera) regalandoci la possibilità di creare nuovi modi, nuovi flussi di lavoro e nuove possibilità di business.

Il mobile journalism e le redazioni virtuali

Con questo mondo di smartphone potentissimi, app per creare contenuti velocissime e cloud performanti sono successe due cose.

La prima: il mobile journalism si è fuso con il giornalismo multimediale digitale e broadcast moderno. Si fanno trasmissioni tv, format, film, documentari, videonews con lo smartphone e ormai non ce ne accorgiamo più. La seconda: con una manciata di telefonini, una manciata di app e un sito, si possono creare redazioni virtuali e quindi media che possono diventare profittevoli in poco tempo. Ecco che cosa fa il mobile journalism nel 2024: crea business e nuovi media.

Il mojo e l’intelligenza artificiale

Già, in tutto questo ragionamento manca l’intelligenza artificiale: nelle app di filming e di editing dei nostri smartphone è entrata di prepotenza da un po’, ma dal 2024 diventerà strutturale. Non tanto nel creare immagini artificiali da mettere nei video, quando nel potenziare tutte le fasi del montaggio per far diventare un video creato con lo smartphone tecnicamente identico, se non superiore, a quello creato con il processo ideografico classico videocamera+computer.

I giornalisti freelance (in generale i giornalisti) ne usciranno trasformati per sempre. Se tecnicamente erano in grado di fare cose meravigliose con smartphone, software e poco altro, ora, con app come Captions, Capcut e altre saranno in grado di fare magie. Semplice il motivo: alla tecnica di base e agli hardware, assommeranno applicativi in grado di pulire il suono, i colori, le immagini, la grafica tali da trasformare in un prodotto di qualità broadcast ogni maledetto contenuto multimediale (il discorso, infatti, vale anche per l’audio) che uscirà dai nostri smartphone.

Pronti alla sfida? Pronti a trasformarvi in giornalisti in grado di creare gli stessi contenuti multimediali di una media company intera?

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