Categoria: Giornalismo

Studio da anni il mobile journalism e sono uno dei punti di riferimento della materia in ambito italiano e internazionale. In questa categoria del mio sito ci sono raccolti tutti gli spunti arrivati dalle mie esperienze, dai miei studi e dalla trasformazione della mia figura professionale. Ormai il mobile journalism è il giornalismo di oggi.

  • CNMP2018: tutto pronto per il primo congresso in #totalmojo

    CNMP2018: tutto pronto per il primo congresso in #totalmojo

    Cnmp2018 al via

    Tutto pronto per la tre giorni del Secondo Congresso Nazionale di Medicina e Pseudoscienza che, dal 6 all’8 aprile 2018, vedrà 30 tra i migliori esponenti della medicina e della scienza italiana discutere di un tema fondamentale per la vita dell’uomo: l’alimentazione.

    Dal direttore dell’Istituto Mario Negri Silvio Garattini all’immunologo Roberto Burioni, da Piero Angela al direttore del Dipartimento di Scienze Umane del Consiglio Nazionale delle Ricerche Gilberto Corbellini, alcuni fra i più importanti scienziati, ricercatori e divulgatori scientifici del nostro paese cercheranno di fare chiarezza su un tema invaso da mode, da fake news, da tendenze e false notizie come quello del mondo alimentare. Nel mirino le diete miracolose, i cosmetici “per dimagrire” venduti come farmaci, il grande mondo dell’omeopatia, le mode dei “No glutine” o “No OGM”: insomma, dalla corretta ragione della scienza verranno spazzate via tutte le false verità su quanto portiamo alla bocca ogni giorno. I relatori della tre giorni (il primo, il 6 aprile,. valido per la formazione professionale ECM delle professioni mediche con il conferimento di 8 crediti) non risparmieranno colpi verso tutto quanto si è fatto strada nel mondo dell’informazione alimentare e non risponde alle regole della scienza.

    Il punto sui vaccini

    Tanti gli spunti, molti i personaggi. Il CNMP, giunto alla seconda edizione e organizzato interamente dalla casa editrice, farà anche il punto sull’argomento vaccini, un anno dopo aver affrontato l’argomento con la prima edizione del congresso. Tra i 30 relatori il meglio della divulgazione sull’immunizzazione corretta presente in Italia: oltre al già citato Roberto Burioni, saranno presenti anche Francesco Maria Galassi, giovane e brillante paleopatologo e autore di “Un mondo senza vaccini? La vera storia” (C1V Edizionj) e Pier Luigi Lopalco, autore di “Informati e Vaccinati” (Carocci Editore). Promette contenuto e fascino la conclusione, prevista per domenica 8 aprile 2018, nella quale si ricaveranno il ruolo dei saggi anche Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale seguitissimo su Internet, e Piero Angela. Al padre del giornalismo scientifico italiano il compito di consegnare al pubblico tutta la sua saggezza nelle fasi finali dell’evento.

    Le informazioni di servizio.

    Tutte le informazioni sul congresso e sugli eventi collaterali le potete trovare sul sito www.cnmpconference.com. Tra le iniziative particolari anche una serata teatrale il 7 aprile dopo il congresso, serata nella quale l’attore Fabio Brescia porterà sul palco la piece “Sul Nascere” per la regia dell’inglese Mark Pattenden, dal testo scritto dalla scienziata Carolina Sellitto. Per quanto riguarda le iscrizioni al congresso, C1V Edizioni comunica che, da ora in poi, è possibile effettuarle in loco. La sede del congresso è il Mercure West di Roma in via Eroi di Cefalonia 301: sulla pagina www.cnmpconference.com/sede si possono trovare indicazioni sul modo per raggiungere la location. Fra i servizi anche una navetta a chiamata. Per i media interessati al congresso, si possono effettuare accrediti ancora online. Verranno accettati solo i giornalisti in possesso di tessera ODG, elenco pubblicisti o professionisti. Il link cui accedere per la registrazione è www.cnmpconference.com/press. Per ogni altra necessità potete contattare il nostro ufficio stampa al numero 3477146295.

    Il primo press office in total mobile.

    Da due mesi, ormai, ho preso il press office della casa editrice C1V Edizioni facendone un laboratorio della mobile content creation. Comunicati, note, testi sui siti, foto, video, contenuti multimediali sono stati fatti totalmente con device mobili e pubblicatii con gli stessi attrezzi e criteri sui siti del Gruppo C1V. Il risultato è stato un notevole interesse dei media e dei numeri “social” in verticale ascesa. Ora viene il bello, con un press office che si sposta al Congresso con uno studio per un live multicamera e con un flusso che produrrà in tempo reale contenuti video di qualità tale da poter essere pubblicati da tv e siti interessati. Per i miei studenti e per gli appassionati mojo, il congresso potrebbe quindi essere un’occasione per vederci all’opera e per carpirci qualche segreto. Sarò in compagnia del prof Fabio Ranfi… in arte Rufus.

  • Mojofest a Galway: la cultura mojo torna alle origini

    Mojofest a Galway: la cultura mojo torna alle origini

    Mojofest: una convention ridotta all’essenziale.

    In questi giorni gli esponenti della cultura della mobile content creation sono rimasti piuttosto preoccupati dalla mancanza di notizie su Mojofest, la nuova creatura del capo della Mojo community mondiale Glen Mulcahy. L’ex capo dell’innovazione di RTE, divenuto imprenditore con Titanium Media, sta lavorando da mesi a una edizione indipendente della manifestazione che negli scorsi anni aveva visto riuniti anche un migliaio di delegati a scambiarsi informazioni e cultura sulla mobile content creation, sostenuti da sponsor e da un patrocinatore di grande valore come il broadcaster di stato di Dublino.

    Da poche ore, esattamente da ieri a mezzogiorno, sappiamo che dobbiamo abbandonare i fasti del passato perché molte delle aziende coinvolte nelle passate stagioni non hanno confermato il loro supporto. Di conseguenza Mulcahy ha annunciato ieri i criteri di progettazione, soprattutto finanziaria, per sostenere il peso della manifestazione. Criteri rivisti all’osso, per una convention che, dal 29 al 31 maggio 2018, sarà ridotta all’essenziale.

    Cosa è successo esattamente?

    Ecco, rispondo a questa domanda, innanzitutto. C’è chi si sarà fatto prendere dallo sconforto, ma questa “riduzione” in corsa di Mojofest è, a mio avviso, una ottima notizia. Andiamo per gradi. Glen Mulcahy, nei 45 minuti e passa di diretta nel gruppo di Mojocom nel quale annunciava il cambiamento del modello della convention, ha sostanzialmente rivelato la difficoltà di allestire discorsi con le aziende da “imprenditore indipendente” rispetto a quando aveva dietro le spalle il colosso televisivo. Poi ha ammesso anche che è stato poco efficace il timing del periodo di lavoro in cui si è messo a progettare Mojofest 2018 perché i colloqui con le firm del mondo mobile sono iniziati in gennaio per fine maggio. Probabilmente in quel momento i budget pubblicitari e di marketing per le aziende grosse erano già partiti, stoccati.

    Cosa è cambiato e cosa cambierà

    Il modello di Mojofest, quindi, è diventato molto diverso da quello dei precedenti anni. E’ tornato alle origini e si baserà, tuttavia, sulla cura dei contenuti a discapito dell’ambientazione, dei benefit, delle possibilità. L’organizzatore ha deciso che punterà tutti i suoi sforzi sull’allestimento della tre giorni sotto il profilo editoriale, ma, per dirla schietta, il panino ce lo dovremo portare da casa. E’ un ritorno al centro della cultura mojo a dispetto di un allestimento “televisivo”. Ebbene, vi rassicuro tutti.

    Non è per questo motivo che la cultura della mobile content creation avrà meno fortuna o morirà. Anzi. Si sta, invece, stagliando un modello mojo anche nell’allestimento di una convention che rischia di essere ancora più viva e attiva e impattante nelle carriere di chi ci andrà rispetto alle precedenti. E’ cambiato il modello, quindi: si parlerà molto di cultura, di novità, di linguaggi, di giornalismo, di creatività, di tecnologia, di social, di brand journalism, di cinema e di storytelling e, attorno, non ci saranno fronzoli.

    Come puoi dare una mano?

    Nel modello mojo di Mojofest 2018 c’è molto da scoprire, forse anche per trarne insegnamento. Intanto è uscita una pagina di Patreon per sostenere con offerta mensile la manifestazione: la puoi trovare esattamente a questo link. La prossima settimana andranno online i biglietti sul sito della manifestazione che è esattamente questo. Da quel momento in poi si cominceranno a sapere i programmi, gli speaker e tutto il resto. Puoi dare una mano mettento mano al portafoglio e facendola mettere, spargendo la voce di un progetto che avrà comunque uno straordinario impatto. Forse proprio perché ha cambiato il suo modello in corsa affidandosi alla forza di una community.

    Galway, se ci vieni, ti cambierà la vita.

    Concludo con concetti molto semplici e con una visione prospettica. La community mojo e la cultura della mobile content creation hanno cambiato la mia carriera e forse anche la tua per due motivi semplici. Rappresentano il futuro della professione e uno strumento (e qui parlo della comunità) nel quale la forza è la condivisione gratuita della cultura. Sono sicuro che la manifestazione di Galway, cui parteciperò, mi darà e ti darà (se vuoi venire) informazioni, suggestioni, suggerimenti e dritte in grado di cambiare la rotta del tuo lavoro e di riempire il tuo portafoglio. Come? Dando  e ricevendo una cultura nuova che, a questo punto, si sostiene da sola e fa dipendere il proprio cammino solo dalle sue forze. Dalle forze di un gruppo di persone sparse per il mondo che si scambiano valore gratuitamente.

    Ti dico quello che farò io.

    Proprio grazie a questa svolta, la quale a mio avviso libera questa cultura, credo che moltiplicherò gli sforzi per fare in modo che la mobile content creation abbia la dignità di materia accademica e la visione di un nuovo futuro per tutte le professioni dei media e visuali. Ma anche delle altre. Continuerò a regalare materiale, consigli, a fare eventi, corsi, a rispondere alle telefonate, per consigli, dritte, suggestioni, libri. Continuerò anche a seguire il progetto del corso mojo nelle scuole di giornalismo e ad aiutare tutte le aziende che vogliono diventare “mobile” nel loro modo di esprimersi all’esterno. Solo mettendo un mattone dopo l’altro si fa la casa di una nuova cultura. Io continuo, tu xche fai?

  • Podcast sul mobile journalism: ecco Italian Mojo stories

    Podcast sul mobile journalism: ecco Italian Mojo stories

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    Podcast sul mobile journalism: le storie di Italian Mojo.

    Una di queste notti mi è partito un podcast sul mondo del mojo, è partito in sordina e con l’idea di continuare anche su un altro canale il dialogo con te che mi leggi e che ti servi delle poche o tante cose utili che racconto. E’ partito perché parlare di mobile journalism e di mobile content creation, parlare del giornalismo che cambia e  di innovazione nei media in generale è quello che mi riesce meglio. Italian Mojo, la community fondata assieme a un team di altri colleghi, ne è il simbolo più evidente. Per continuare a chiacchierare con chi si interessa di mojo, quindi, ho deciso che Italian Mojo Stories dovesse essere il modo migliore per titolare un programma radiofonico che mi fa ritornare alle origini, visto che ho cominciato, nel 1989, proprio parlando davanti a un microfono, il mio lungo viaggio.

    Filosofia poca, riflessioni molte, notizie utili tantissime.

    Ho fatto stasera la mia terza puntata e ho già capito il filo rosso che le unirà tutte. Vuoi sapere qual è? E’ la volontà di essere utile, di raccontare con un mezzo efficacissimo e in un tempo ragionevolmente breve, le notizie che vengo a sapere a tutta la mia community, a quel gruppo di Italian Mojo di cui sono l’ispiratore, sì, ma anche la fonte di news.

    Il podcast è immediato, intimo, affabile, è come un amico che ti spaccia consigli, ti gira le dritte, ti regala le chicche. Ecco, voglio essere così e spero di riuscirci. Se volete seguirmi la home del mio podcast è questa. E’ su Anchor perché quello strumento è completamente mojo e può regalare interazione con i messaggi che gli ascoltatori possono lasciarmi. Il mezzo, quindi, è anche un modo per continuare ad alimentare l’architrave del nuovo giornalismo, il fatto di conversare con la propria community.

    Sono Italian Mojo e risolvo problemi.

    La puntata che mi è piaciuta di più è quella nella quale ho parlato dei grossi problemi di Filmic Pro con l’audio, patiti in questo periodo. Se vuoi sapere tutti i segreti ascoltala e capirai anche lo scopo di Italian Mojo Stories e la sua missione: spacciare dritte e news utili.

    Qui, nel breve volgere di 6-7 minuti, puoi sapere cosa è successo e cosa sta succedendo sulla app di Filming fatta a Seattle dal team di Bonagurio e Barnham. Ecco, moltiplica questo e episodio del podcast per mille e avrai la strada che ho deciso di intraprendere per il mio nuovo gingillo mojo. Sono Italian Mojo e te lo racconto, alla vecchia, chiacchierando davanti a un microfono. E’ un mondo per stare insieme. Aspetto messaggi, ci sentiamo presto. Diciamo una volta ogni due giorni.

    Ehi, sulle immagini c’è il super corso di Ranfi.

    A proposito di immagini, molto probabilmente si parlerà di questi problemini anche al primo corso di Filming che Italian Mojo, la mia associazione, ti offre per questo sabato, 24 marzo 2018, con alla docenza il professor Fabio Ranfi. Per l’iscrizione, puoi cliccare qui.

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  • Connessione: ecco un altro big issue del mobile journalist

    Connessione: ecco un altro big issue del mobile journalist

    Connessione internet: la velocità adeguata, questa sconosciuta.

    Se vogliamo parlare di efficienza della connessione al world wide web che caratterizza le nostre vite e il nostro lavoro, parliamone. Cercando, però, di non sparare menzogne. Se sei un mobile journalist e lavori in mobilità totale, hai bisogno che attorno a te ci sia una connessione, possibilmente wireless (o cellulare) la quale segua molto fedelmente la velocità del tuo lavoro e lo spostamento dei dati che provochi da un posto all’altro. In Italia abbiamo un combinato disposto di “truffe legalizzate” nelle offerte, di infrastrutture non rispondenti alle necessità e di overload delle celle di comunicazione dati via LTE, quella del cellulare, il quale pone l’effettiva operatività della connessione che i poveretti come me e te hanno a livelli inferiori di quanto viene annunciato dagli operatori.

    La situazione italiana, tra cartelli e truffe legalizzate.

    La rete italiana, va detto, ha un grosso problema ambientale rispetto al suo posizionamento e alla sua efficienza. Di cosa sto parlando? Della composizione orografica del terreno. Si fa troppo rapidamente dalla profonda pianura alle Alpi da 4 mila metri per poter avere una distribuzione omogenea dei segnali di diffusione del traffico dati, sia sottoterra, sia in aria. La seconda problematica è l’impunità. Di cosa sto parlando? Delle compagnie internet che fanno per la connessione prezzi simili, si chiama cartello, ma hanno una cosa esattamente uguale: la tua connessione internet non è mai come ti hanno detto che deve essere.

    Una serie di bugie interminabile.

    Ti promettono fino a un giga (come la Fastweb che ho a casa mia) poi non mantengono nemmeno metà della potenza. Col Wifi di ordinanza, poi, trasmesso da un router che può essere soltanto quello che ti danno in dote, riducono notevolmente la potenza anche sotto i 300 mega è la portanza dei router più performanti. Le altre connessioni sono uguali e costano tutte tra i  26 e i 30 euro mese. Le ADSL ormai non sono utili a lavorare. Inutile prendersi in giro.

    Poi, per esempio, ti sposti in una scuola superiore di San Donà di Piave (a due passi da Venezia) e scopri che per fare una diretta Facebook non c’è nemmeno una linea (chiederla decente è poi chimerico…). Per chiudere con le linee fisse, dimmi se hai mai trovato un posto come si deve per lavorare e mandare le cose quando sei “on the road”.  Poi ti rivelo un’altra cosa per la quale spero di essere smentito. Anche le linee di terra dei dati sono “ridotte” rispetto alla reale potenza erogabile per motivi di doppini o perché i contratti di fibra sono ancora pochi per quel tale doppino cui è attaccata c

    La situazione della connessione cellulare.

    Insomma, il Paese cambia e si riempie di lavoratori mobili come i mojoer e le infrastrutture sono lontanissime da un livello che permetta di lavorare. Quindi? Urgono rimedi... Tanto tempo fa avevo anche pensato a provocare una mappatura autonoma da parte tua e mia con uno sforzo da mettere a fattor comune. Non so se si può fare e non so se vale la pena di affidarsi alle app di reperimento wifi che ci sono, ma sono convinto che era una buona idea. Perché solo chi lavora con il mobile sa quanti dati sposta e come considerare buona o meno una wifi per consigliarla ai colleghi. Però il mondo dei giornalisti e popolato di individualisti e indifferenti. Quindi…

    Il caso dei Giga che spariscono.

    Quindi meglio avere una connessione cellulare, ma anche qui la questione è complicata. Le coperture non riflettono mai la verità, il 4G in posti normalissimi, anche in mezzo a cittadine (rifaccio l’esempio di San Donà perché l’ho vissuto), spesso è un sogno. Bisogna, per forza, avere più di una connessione per non restare a piedi e i pacchetti dati costano e spesso spariscono anche solo per un settaggio di una app che succhia un sacco di dati o chissà quale altro magheggio dei server.

    La scorsa estate i 37 giga che avevo a disposizione nelle mie connessioni (Tre e Vodafone) sparivano in un lampo (tipo 10 giorni). Anche in questo campo il cartello è chiaro (basta guardare i prezzi), ma è chiara anche la scorrettezza che avevo evidenziato qui ( fatturazione a 4 settimane) e che è passata solo perché sono tornati alla tariffazione a mese solare. Con un piccolo problemino: i costi sono rimasti aumentati dell’ 8,6%, un aumento incredibilmente alto rispetto al costo della vita. 

    Io voto per qualcuno che mi garantisca un futuro diverso.

    Chiacchiere a parte, con questa situazione, ai miei consigli va aggiunto un avvertimento. Quando sei in giro a lavorare in mojo ricordati di portare la connessione con te per non restare appeso a quelle lunghe ore che passi guardando il wetransfer che tenta di trasferire il tuo video al capoccia. Io voglio andare a votare, oggi, a votare qualcuno che non differisca gli interventi nel miglioramento dell’infrastruttura. Perché se no, quando arriva il 5 G, noi resteremo fuori dalla società dei Gigabit e il cambiamento volerà via senza di noi.

  • Il mobile journalism è l’Uber del giornalismo? Ecco perché no

    Il mobile journalism è l’Uber del giornalismo? Ecco perché no

    Uberization: la cosa riguarda anche il mojo?

    Dopo la conferenza di Parigi, cui ho partecipato, ho letto e visto articoli che parlano del momento del mobile journalism e ho avvicinato il concetto che il mojo possa essere un Uber del giornalismo. Voglio fare questo ragionamento e proporre una soluzione per spiegare che, a mio avviso, il mobile journalism è quanto di più lontano ci sia dall’ Uber della professione dei media. Insoma la uberization del lavoro non riguarda anche il mojo.

    Eppure sembra il contrario, il mojo sembra Uber

    Conosci il concetto di uberization? Sicuro? E’ un processo che sta riguardando molte professioni, ma parte dal business sviluppato dalla famosissima applicazione che mette in comunicazione gli autisti di vetture con chi ha bisogno di passaggi. Uber è stata una rivoluzione nel mondo del trasporto di persone e anche un terremoto nel mondo del lavoro. Dalla nascita di quella applicazione in poi sono stati molti i campi lavorativi colpiti dalla disintermediazione. Una parentesi: va spiegato anche il termine disintermediazione, perché altrimenti non si capisce un tubo.

    In generale, si parla di disintermediazione per spiegare come, nel processo di sviluppo di un lavoro o della creazione di un  prodotto o servizio, siano stati tolti dei passaggi per merito della tecnologia. In tanti settori, dalla grande distribuzione ai trasporti, dall’ospitalità ai media, sono comparsi nuovi flussi di lavoro e di produzione di ricchezza che hanno tolto passaggi intermedi e portato molto più vicino offerta e domanda di un determinato bene o servizio.

    Nel giornalismo è successo di tutto.

    Nel giornalismo è successo di tutto. Il salto della mediazione giornalistica quando sono comparsi i primi contenuti generati dagli utenti è stato immediato. Dai primi video su Youtube e sui social è stato un attimo considerare il giornalista sorpassato. Qualsiasi possessore di telefonino è in grado di fornire una notizia e qualsiasi medium online è in grado di pubblicarla al volo. In questo nuovo scenario i media si sono ritirati sulla torre d’avorio di una cultura “tv o computer centrica”, mentre gli operatori dell’informazione hanno coltivato l’idea della minaccia dello status quo e del linguaggio “corretto” del video da parte degli aggeggi che hanno trasformato tutti in reporter.

    Ora ci si mette pure il mojo.

    In questo marasma disintermediato ci si mette pure il mobile journalism che è una cultura professionale che vuole ripensare il mestiere collegato ai media come un mestiere da ricodificare con il linguaggio che producono telefonini e tablet. Ho avuto molte esperienze dirette su come viene percepito il mojo dalla generalità dei lavoratori dei media. Viene percepito come un Uber (oddio devo fare tutto da solo) o come un gadget, come un qualcosa in più nel quale rifugiarsi quando non si riesce a fare le cose come si deve. In ogni caso, il mojo è considerato come un linguaggio inferiore e meno qualitativo rispetto al videomaking giornalistico con le attrezzature classiche (parlo di videocamera e computer).

    Ho anche verificato con testimonianze dirette come il mobile journalism non venga percepito come un’esigenza in strutture grosse. Il motivo? Culturale: il mojo non è mainstream perché la preoccupazione principale delle newsroom italiane (e non solo) e quella di autogustificare lo status quo e i meccanismi produttivi che impegnano le redazioni da anni nello stesso modo, con lo stesso linguaggio. Non c’è, in Italia, un medium che produca contenuti giornalistici ed editoriali interamente realizzati con lo smarphone. Il tutto in un mercato che è quello di un popolo intero che vede le informazioni, le notizie, i video, i programmi, insomma, tutto, da un telefonino. Perché? Perché i video sono un linguaggio tv anche sui siti web o nelle app?

    Ecco perché Uber non c’entra.

    Il mobile journalism non è l’uber del giornalismo e ora comincio a spiegare perché. Lo ha anticipato Nick Garnett facendo un ragionamento un po’ diverso da questo in un pezzo che parlava di morte del mojo, cui io ho anche risposto in questo modo. In questo scambio non si parlava del mojo come dell’Uber del giornalismo, ma proprio dell’essenza del mobile journalism che deve sapersi presentare sinceramente e senza necessità di giustificazioni come nuovo giornalismo (e basta). Io non posso permettermi, noi non possiamo permetterci di equiparare il mojo al giornalismo normale in Italia.

    Il mojo italiano deve ancora nascere?

    La cultura del mobile journalism nostrano deve ancora nascere. C’è un passaggio, però, che è molto importante e fa capire in un colpo come il mojo non sia il mezzo ma un linguaggio nuovo. Sì, possiamo anche definirlo come assolutamente disintermediato nei passaggi di produzione perché ormai il mobile journalist è in grado, come un’autista Uber, di fare tutti i passaggi del suo lavoro, fino alla pubblicazione, quindi alla definitiva consegna del proprio prodotto, da solo.

    Però quello che è successo non è stata una uberization del giornalismo, ma un completo smarrimento dello stesso di fronte a un cambiamento di linguaggio. Nick Garnett fa del mobile journalism una fotografia chiara, la quale dovrebbe rasserenare tutti dall’ipotesi di automatizzazione del giornalista. Visto che la tecnologia che ci offre il telefonino è uguale e potentissima per tutti, dice il giornalista della BBC, si può dire che siamo tornati all’anno zero del giornalismo, quello nel quale avevamo tutti in mano la stessa arma. Quale? Un taccuino, una penna, venti pence per fare una telefonata e dettarla al collega dimafonista. Allora abbiamo bisogno di questo:

    The training we need to give now is not how to create the content. We can all create.  There is still a need to explain and ease the editing process – it’s getting easier but the learning curve is a steep one but, more importantly, we have a duty to those who are joining us to explain the nuts and bolts of truth, self-editing, an awareness of journalistic law, of defamation, of libel, of the importance of cultivating contacts, about responsibility and the pre-requisite of desire to uncover the things that people don’t want you to talk about.  We need to be able to tell people what’s happened.

    Il nostro taccuino è il telefono.

    Ecco perché il mobile journalism non è l’Uber del giornalismo. Perché taglierà, come Uber, molti passaggi, ma resta solo un mezzo e un linguaggio nuovo per ricominciare, su mezzi diversi di diffusione, ma ugualmente destinati all’uomo, a raccontare le storie, le notizie, la realtà. Il mobile journalism, quindi, è quanto di più lontano da Uber esista ed è un movimento culturale che sta riportando il giornalismo alla sua essenza, condita solamente da un cambio di oggetto di registrazione e produzione del contenuto tra le mani. Una volta era il taccuino, oggi è il telefono. Ecco, già che ci siamo. Ora che siamo tutti alla pari, ora che abbiamo tutti condizioni simili di partenza, beh, proviamo a vedere chi è davvero bravo a spacciare giornalismo?

  • Ordine dei Giornalisti, Parigi e una nuova visione del mojo

    Ordine dei Giornalisti, Parigi e una nuova visione del mojo

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    Ordine dei Giornalisti: bisogna dare una mano prima di parlare.

    Come giornalista mi vergogno. Anche come internauta italiano mi vergogno. Perfino come uomo del digitale mi vergogno, perché vedo molta ciarlataneria e poca voglia di creare valore aggiunto in questo web che utilizziamo al massimo solo come discarica della nostra frustrazione. Come giornalista e come uomo, però, ho deciso di restare dentro le istituzioni come l’Ordine dei Giornalisti e di aiutare. L’ho fatto, lo rifarò, anche se critico, qualche volta urlo, generalmente non capisco la situazione alla deriva di questa istituzione. Però te lo dico, caro collega, è da vigliacchi proprio criticare l’Ordine, urlare la sua inutilità, sparare sulla categoria senza restare dentro a cercare di cambiare le cose.

    Ho toccato il fondo, poi sono tornato su…

    Nella mia carriera ho toccato il cielo, il fuoco Olimpico, il sogno e l’inferno. Sì, caro, ho toccato il fondo ho mangiato la merda e sono risalito. Ho anche fatto l’imprenditore e capito in che modo vanno le cose. Vanno in un modo che mi ha imposto l’operazione di lasciare tutto e andarmene. Ho visto anche come vanno le cose nell’Ordine dei Giornalisti e ho deciso che devo stare dentro, vicino, accanto. Anche se faccio fatica a pagare la quota, anche se mi fanno incazzare. Lo devo fare per offrire all’Ordine dei Giornalisti tutto l’apporto possibile per migliorare la situazione di questa professione minacciata, in crisi, devastata. Boh, sarà che sono un romantico, uno matto (come dice il Presidente dell’ODG Lombardia Alessandro Galimberti), ma io lo devo fare. Tra l’altro, non so se hai visto, la cosa ha dato i primi frutti.

    La trasferta a Parigi assieme al Presidente Galimberti.

    Con il collega Fabio Benati e grazie all’organizzazione di Video Mobile 2018 abbiamo lavorato per molto tempo all’organizzazione di una trasferta che doveva vedere il Presidente dell’OdG Lombardia Galimberti con me a Parigi a vedere con i suoi occhi la comunità mojo in azione. Innanzitutto devo ringraziare Alessandro per la visione che ha avuto e per il coraggio che ha mostrato esprimendo il forte desiderio di conoscere il mondo dei mobile journalist. Il nostro è stato un giorno pieno di significato, per quello che esso può rappresentare non solo per noi, ma per tutto il movimento. Da Parigi sono tornato con la consapevolezza che il lavoro inizia adesso, se voglio far diventare il progetto di portare il mojo dentro le scuole di giornalismo una realtà. Ti prometto che non mollerò. Credo che non mollerà nemmeno Alessandro Galimberti, il quale, dopo la conferenza parigina parlava così.

    Una nuova visione del mojo

    Il pensiero e le riflessioni del Presidente della Lombardia Alessandro Galimberti sono finite anche sul sito dell’Ordine milanese e su News Italia Live ai link che puoi leggere qui e qui. Il mio pensiero sull’argomento lo conosci da tempo: vado dritto al punto e finché non avrò piena apertura dalle scuole di giornalismo non avrò pace. Non lo faccio solo per me, ma per tutti quelli che vivono il mondo del giornalismo italiano e sono in difficoltà. Il mojo ha fatto risorgere me dalla cenere, può essere un’arma per molti. Ecco perché lo stiamo portando fino alle aule delle università. Cercando anche di avere una nuova visione del mojo, come del nuovo giornalismo di cui la nostra epoca ha bisogno. Indipendentemente da un telefonino.

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